Ricordo ancora il timbro della voce di mia madre che arrabbiata mi mandava in camera mia, così come ricordo il suono indelebile di tutte le sue urla che minacciavano di chiudermi fuori casa, o di mandarmi in collegio.
E spesso, a mio malgrado, mi riconosco in quella voce, in particolare quando i miei figli mi fanno perdere completamente la pazienza, quando mi esasperano, e quando perdo le staffe.
E così, anche io come mia mamma tanti anni fa, mi ritrovo ad urlare e mandare i miei figli in camera loro.
Se in passato i castighi erano una pratica comune ed accettata, oggi sappiamo molto di più sull’educazione emotiva dei bambini, sull’importanza di porre solide basi per l’auto-regolazione e sull’importanza di insegnare loro a gestire le emozioni, ma a volte, ancora sbagliamo e ci ritroviamo a ripetere quegli stessi errori commessi in passato dai nostri genitori.
La scuola purtroppo non è da meno: minacce di brutti voti, note, intervalli cancellati, sospensioni e bocciature.
Nella scuola infatti c’è ancora la tendenza ad utilizzare i castighi e le minacce come occasioni educative e di crescita, senza realizzare quanto questi siano invece controproducenti.
Io credo fortemente che i castighi promuovino sentimenti di vergogna, che le punizioni nutrino sentimenti di rabbia, e che i time-out (isolamento in castigo) compromettano i legami di attaccamento con gli adulti, che dovrebbero invece essere modelli da cui imparare.
Per questo in casa nostra abbiamo deciso di abolire i time-out, e di favorire invece i time-in.
Differenza tra time-in e time-out
I time-out sono una strategia educativa utilizzata tradizionalmente da genitori, educatori e scuole, che presuppongono l’allontanamento ed isolamento del bambino quando si comporta male, per un lasso di tempo determinato. Questa lunghezza è proporzionale all’età del bambino, come ad esempio, un minuto per ogni anno di età.
I time-in, al contrario, sono una tecnica educativa più nuova che, attraverso una collaborazione tra genitore-educatore e bambino, insegnano ed aiutano il bambino ad autoregolarsi e correggere il comportamento disregolato.
Esempio pratico
La scorsa settimana Ben si è arrabbiato come me. Lo vedevo stringere i pugni, diventare paonazzo, era pronto ad esplodere. Infatti, la sua reazione è stata quella di lasciare la stanza urlandomi qualche aggettivo poco ripetibile e sbattendo la porta, continuando a sfogare la sua ira fino a quando è arrivato nella sua camera.
A questo punto avevo due scelte:
time-out: avrei potuto urlare anche io, magari qualche frase sulla falsa riga di “sempre a comportarti male tu” e poi mandarlo in camera sua rimarcando “non ti voglio vedere, vai in camera tua e rimanici fino a quando lo dico io”.
oppure
time-in: ho optato per richiamarlo indietro, senza alzare la voce. Gli ho chiesto di sedersi al tavolo, ed io mi sono seduta accanto a lui. Ho aspettato in silenzio qualche attimo e poi gli ho spiegato con calma “capisco tu sia arrabbiato, ma ci sono maniere migliori per esprimere la tua rabbia, senza la necessità di urlare, dire parolacce e sbattere le porte.” Poi, sempre insieme, abbiamo parlato di cosa l’ha fatto infuriare e di come risolvere la situazione.
In dettaglio
Analizziamo meglio le differenze tra i due approcci:
Time-out:
Il time-out implica rimuovere il bambino dalla situazione in cui si è comportato male. In genere, i bambini vengono relegati in un angolo, seduti su di una sedia, oppure su di un apposito scalino, dove devono sedersi in silenzio per un periodo di tempo precedentemente determinato (1 minuto per ogni anno di età).
Durante un time-out, il bambino viene isolato dall’attività e dall’ambiente in cui si è verificato il comportamento scorretto e non riceve alcuna attenzione dall’adulto, nella vaga illusione che utilizzi questo tempo per riflettere su quello che ha fatto e pentirsi per il comportamento negativo.
L’obiettivo del time-out è punire il bambino per il suo cattivo comportamento al fine di impedirgli di comportarsi in quel modo ora ed in futuro.
Gli svantaggi del time-out sono:
- punisce per essere stati cattivi o essersi comportati male
- sviluppa sensi di colpa e vergogna
- crea un divario tra genitori, educatori e bambini
- isola il bambino
- intacca l’attaccamento
Time-in:
Il time-in implica invece l’utilizzo di strategie di co-regolamentazione emotiva in cui l’adulto aiuta il bambino a calmarsi, così da poter elaborare le proprie emozioni in maniera positiva.
Questo aiuta i bambini a sviluppare capacità emotive e comunicative, rendendoli più in sintonia con le loro forti emozioni, ed imparando nel tempo a reagire con comportamenti appropriati anche in situazioni di forte stress.
I time-in fanno sentire i bambini più sicuri e connessi, e più capaci di risolvere i problemi imparando dai propri errori.
Genitori ed educatori, attraverso questo approccio, invece che punire un bambino per il suo comportamento, danno loro il tempo necessario per apprendere le abilità essenziali ad affrontare le situazioni difficili in modo appropriato, e quindi a rispondere correttamente quando in futuro si ripresenterà la stessa situazione.
I vantaggi del time-in sono:
- favorisce la calma
- insegna ad imparare dagli errori
- favorisce un senso di benessere emotivo
- sviluppa e rafforza il senso di attaccamento
- diventa una fonte di apprendimento e fornisce modelli comportamentali riutilizzabili
Risoluzione
Ben, con il mio aiuto, si è calmato, ha spiegato il perché della sua rabbia, e abbiamo insieme trovato una soluzione che rendeva entrambe felici. Ci siamo poi alzati da quel tavolo e stretti in un abbraccio di sostegno e comprensione.
Infine, abbiamo continuato le nostre attività in armonia, sapendo di avere evitato ore di urla ed arrabbiature, ma soprattutto di aver fatto un piccolo passo verso la maturità emotiva.
*0 Commenti*